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Il mito di Indra

Il nostro piccolo viaggio attraverso la mitologia indiana,partito dai Rishi (i saggi) e passato poi dai Veda per approdare poi agli Asura (i Demoni) si concluderà con quella che è forse la figura più importante di tutto il pantheon indiano, ovvero il dio Indra.

Di Indra ora proclamo le prodezze, quelle che l’armato di fulmine ha compiuto per prime. Ha fatto scorrere le acque. Ha trapassato il ventre delle montagne.
Rg Veda I, 32

Quel dio che appena nato, per primo, provvisto di saggezza protesse gli dei con il suo potere, di fronte alla forza del quale i due mondi ebbero paura per la grandezza del suo valore questo, o genti, è Indra. Quello che consolidò la terra che vacillava, che arrestò le montagne che si muovevano, che puntellò il cielo e creò quindi spazio all’atmosfera, questo, o genti, è Indra.
Rg Veda II,12
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Mitologia indiana: i Veda

Quella che segue è la seconda tappa del breve viaggio che ho deciso di intraprendere per illustrare con una panoramica generale i principali temi della letteratura, della filosofia e della mitologia indiana. Ho iniziato parlando dei Saggi, i Rishi, i cantori che hanno il compito di trasmettere la sapienza agli uomini. In questo intervento tratterò quindi dei Veda.

I Veda
La cultura indiana classica è radicata in un ampio corpus testuale chiamato Veda. Con il termine Veda, che letteralmente significa “Sapienza” si intende quell’insieme di testi che costituiscono sia il fondamento del Brahmanesimo che i documenti letterari più antichi della civiltà indiana. I Veda sono composti in una lingua arcaica, il vedico: un insieme di vari dialetti simili tra loro ricca di forme e vocaboli rari poi caduti in disuso.

Secondo la tradizione i testi vedici sarebbero stati “visti” dai mitici Rishi per mezzo di una percezione soprannaturale ottenuta con severe penitenze e poi comunicati agli uomini attraverso le parole in forma di composizione poetica. Veniva così composto un inno che saliva come offerta verso gli dei in cambio di favori che il veggente chiedeva per sé e per i propri patroni. Si attuava così, attraverso l’atto poetico, lo scambio di doni fra la divinità e il suo adoratore. I più antichi fra questi testi sono le Samhita (Raccolte) divise in quattro parti: Rgveda, Samaveda, Yajurveda e Atharvaveda.

Il Rgveda è la parte più antica delle raccolte, il suo nome significa Sapienza (Veda) delle strofe (Ṛg) ed è un insieme di 1028 inni di lode rivolti alle divinità, suddivisi in 10 libri o – più propriamente – in mandala.
Il Samaveda (Sapienza dei Canti) è la raccolta dei canti con cui il sacerdote accompagnava la preparazione e l’offerta del sacrificio.Lo Yajurveda (Sapienza delle formule) è l’insieme delle formule sacrificali da recitare durante il rito. L’Atharvaveda infina (Sapienza degli incantesimi) è un repertorio di formule di magia bianca e nera, inni cosmologici e filosofici.

Intorno a queste raccolte si annidarono poi formando altre opere di accompagnamento: i Brahmana (Libri delle scienze sacrificali) gli Aranyaka (Libri delle foreste) e le Upanishad (Testi filosofici). E’ con quest’ultime che si ha la prima testimonianza della speculazione filosofica indiana dove cominciano ad affermarsi quei principi che continueranno poi a svilupparsi fino ai giorni nostri, come l’identificazione dell’anima universale (Brahman) con l’anima individuale (Atman), la legge del Karman e la dottrina del Samsara.

Se voleste approfondire l’argomento e saperne di più, consiglio di leggere questo testo:
I Veda – Raimon Panikkar (Ed. Rizzoli BUR)

Il Presidente – Antonella Minesi

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